GRAZIE a chi, per spirito di libertà e giustizia, contribuì alla “Liberazione” dell’Italia e all’affrancamento dell’individuo da qualsivoglia tirannia o sudditanza, oltre ogni appartenenza politica e ideologica.
Castelnuovo Bormida 25 aprile 1945
In buona parte dei comuni della Valle Bormida, alla data del 25 aprile 1945, le truppe tedesche e repubblichine erano ormai sconfitte e allontanate.
Il 26 Aprile, a Castelnuovo Bormida, alle ore 10 il COMITATO LOCALE di LIBERAZIONE NAZIONALE, in persona dei Sigg.ri Eugenio Massa (Presidente), Geo Pistarino, Giuseppe Bistagnino, Giuseppe Roggero e Giuseppe Peretta, raggiunse la Casa Comunale e assunse il governo del Comune, insediando quale nuovo Sindaco il Sig. Eugenio Massa, con la contestuale immediata destituzione del Commissario straordinario.
In pari data 26 Aprile il citato C.L.L.N. di Castelnuovo decretò le emissioni patriottiche dei francobolli della Valle Bormida e la messa fuori corso sul territorio delle precedenti emissioni della R.S.I. (vedi articolo Francobolli della Resistenza).
L’insurrezione in zona contro le truppe di occupazione si acuì particolarmente nei giorni dal 22 al 25 Aprile, aggregando nuovi volontari alle formazioni partigiane già operanti da tempo.
Qui di seguito proponiamo la testimonianza diretta del “battesimo di fuoco” di uno di questi giovani. 22 aprile 1945 – dalle memorie verbali di un diciassettenne nato e vissuto a Castelnuovo: “È ora di muoversi, la liberazione è vicina; i tedeschi e i repubblichini sono allo stremo, dobbiamo debellare le ultime resistenze dell’asse nazi-fascista e conquistare la libertà per noi, per le nostre terre, per gli amici e per i familiari. Ogni forza, ogni braccio è importante. Gli ordini dicono di raggiungere i partigiani attestati a Montaldo, coordinati in zona dal comandante MARIUS (Sgarzi Cleante di Rivalta). Il gruppo di partigiani di Montaldo fa riferimento anche al capitano Renzi (Recagno Matteo) di Castelnuovo. Notte, i miei dormono, un biglietto sul tavolo: “Ciao mamma, vado coi partigiani, devo andare, ti voglio bene”. La pistola alla cintura, esco in strada e via verso la collina, uno sguardo a destra e uno a sinistra, due ombre nella notte, Armando anni 19, Pipei anni 17, “ciau, duma!”. Guardinghi, attenti a ogni rumore avanziamo di buona lena, orecchie aperte, lungo la strada per Rivalta e da lì attraverso campi e boschi sino a Montaldo. Albeggia, si intravede sul campanile di Montaldo la vedetta partigiana. Ci avviciniamo, ci aspettavano già informati del nostro arrivo. Dal campanile un gesto di incoraggiamento e di sollecito: avanti, avanti! Poco più oltre ci accoglie un partigiano sui 25 anni, fermo, deciso, poche parole: “Mettetevi giù, c’è in zona una pattuglia mista di tedeschi e bande nere che sorveglia la zona, una trentina, armati con mitragliatrici, motorizzati, coprono Carpeneto, Montaldo e Trisobbio. Dobbiamo neutralizzarli, sanno che siamo in zona, aprite gli occhi, non esponetevi, state coperti, fate quello che vi dico”. Mi viene chiesto se so sparare. Senza attendere risposta mi trovo in mano un fucile “Tapum” e 20 colpi (non ho mai usato un’arma sinora) Altri sono li intorno a noi, già appostati, facce tese, sguardi inquieti, gesti di intesa. Nell’aria l’eco di colpi d’arma da fuoco. Le bande nere dovrebbero arrivare tra poco. Li stiamo chiudendo. Boschi, qualche sterrato, una collinetta, una strada ben tracciata a metà costa. Colpi di fuoco, raffiche di mitraglia. Via, via, ci hanno individuato. Di corsa tra le piante, i rovi, le sterpaglie (sparo qualche colpo), lo sterrato di uno scasso tra vigneti, allo scoperto, porca puttana, giù, giù dietro il poco riparo del solco dello scasso: i colpi della mitragliatrice che mordono la terra. “Aia!” dice Armando al mio fianco Vicino a un pozzo a terra Pipei urla: “mama, mama aiuto”: “Citu, ste citu , ste ŝì” ci ammonisce il veterano. Guardo Armando, ha il naso che sanguina, e il suo è un bel naso importante, è stato ferito da una pietra alzata da un colpo di stern, credo. Da monte e a fianco sentiamo spari, incitazioni, raffiche. Quiete. Colpi isolati. Di nuovo battaglia e incitazioni, in dialetto, italiano, tedesco. Lungo la strada avanza un mulattiere con ceste di verdura. I nemici lo bloccano, lo buttano a terra, si riparano dietro i cestoni, sparano. Contrattacchiamo in gruppo. (Sapremo dopo che due pattuglie, una delle bande nere e una tedesca si stavano defilando protette da una testa di ponte formata da un repubblichino e due tedeschi muniti di una mitragliatrice, due fucili automatici e alcune bombe a mano). Siamo fermi, sotto il tiro nemico: più in su, in cima alla collina, vedo una pianta e a fianco un “bui” per il verderame. Il veterano, al mio fianco, con aria se non sicura almeno tranquillizzante mi dice: “Hai paura?, quanti colpi hai?” “Cinque”, rispondo. “Forza. Avvicinati, senza scoprirti, al “bui”. Loro sono sotto, al di là della linea di valico, piazzati al coperto. Metti i colpi in canna, aspetta il mio ordine. Alérta. “Mi cago sotto” e striscio. Sono quasi in posizione, guardo il mio fucile, guardo la pianta, sento una nuova raffica nemica, i proiettili che colpiscono il tronco della pianta e la vasca di cemento: previsti 24 colpi, si ferma a 12 o 15. Sono ormai sotto alla postazione comandata e incomincio a pensare, per quel che riesco a pensare, a cosa farò dopo. Un colpo a pochi passi, la terra trema, sassi che volano, una cannonata, una bomba, chi lo sa, chi le ha mai sentite da vicino o da lontano?.citu. sta schiss!. Dei passi pesanti mordono la terra alla mia destra, una figura avanza contro luce, il mitra imbracciato con fermezza, la canna rivolta verso la postazione nemica: è lui, il “veterano” e ancora oggi non so il suo nome. Ha capito in pochi secondi che lo stern tedesco si era inceppato, che avevano usato la o le bombe a mano a disposizione e si trovavano praticamente inermi: era quindi il momento per sferrare il contrattacco decisivo. Superato il dosso vede i due tedeschi a terra apparentemente inermi e la camicia nera a braccia alzate: aiuto, sono ferito, mi arrendo. Frazioni di secondo, il tedesco si muove, la camicia nera si butta a terra, dal “veterano” partono tre raffiche, il tiro è buono. Silenzio, un gesto con la testa, mi alzo, supero il colmo della collina e i tre, giacciono a terra, morti o almeno gravemente feriti. E’ andata! Lentamente, dalla macchia, spuntano gli altri. Visi tesi, irrequieti, ancora all’erta. Sigarette che si accendono, passano di mano. Si allenta la guardia, qualche pacca sulla spalla, qualche smorfia quasi un sorriso e poi una voce dura, imperiosa: “Che cazzo fate, via, via, alla fonte tra un quarto d’ora, le sentinelle in postazione da subito”. E’ Marius, risoluto, certo nelle sue scelte, senza sconti a nessuno. (In effetti non era possibile conoscere in quel momento le determinazioni delle due pattuglie nemiche che potevano essere ancora in zona e decidere di contrattaccare; di fatto avevano ripiegato definitivamente su Ovada e abbandonato la zona).Il 25 aprile, mercoledì, controllavamo tutta la collina, da Carpeneto sino a Strevi.”