Cascine

Autâvi Galarei Mieta Pulenteina Val
Benefisi Gianulu Mora Risa Valdrua
Biuta Lasagna Mungheu Ronc Valletta
Briscot Lopiu Murét Sarèu
Carabèina Lusâr Peretta Sgurian-i
Gabian-a Malpensaia Pianburi Uardia

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La cascina a corte, o più semplicemente cascina, è una struttura agricola tipica della Pianura Padana lombarda e in parte piemontese ed emiliana, dove si usa prevalentemente il termine di corte colonica. Si tratta di una grossa fattoria al centro di un’azienda agricola di decine di ettari. All’interno della Cascina sono presenti stalle, fienili, sili, granai, caseifici, pozzi-fontane, forni, magazzini, mulini ed abitazioni dei contadini, riuniti in un’unica struttura. Tali agglomerati sono sparsi in mezzo alla campagna, lontani qualche chilometro dai centri abitati e tra di loro. La pianta della struttura è quadrangolare. Al suo centro è situata la corte (cortile o aia), attorno alla quale si trovano i vari edifici agricoli. La corte fa la funzione dell’aia. Nelle cascine più grandi si possono incontrare anche due o tre corti (cortili): in tal caso sono dette “a corte multipla”.

Il nome della cascina deriva dal cognome del proprietario-fondatore dell’azienda agricola, o dal nome di qualche cappella, chiesa o monastero situati nelle vicinanze.

L’organizzazione della cascina

tere016.jpgQuesta struttura ha dimensioni notevoli ed un tempo ospitava varie famiglie. Nell’Alta Pianura Asciutta se ne contavano sino a 6, nella Bassa Pianura Irrigua erano normalmente 10-15, anche  20: di solito non si superavano le 25 famiglie. Il numero dei nuclei familiari variava a seconda della grandezza dell’azienda agricola legata alla cascina. Nella “Bassa Milanese” la maggior parte delle cascine superava i 100 abitanti (circa 20 famiglie).

La cascina raramente era gestita dal proprietario. Costui dava in affitto l’azienda ad un “Fittavolo” che l’amministrava come se fosse il padrone per tutto il periodo del contratto pluriennale. Normalmente in ogni comune vi erano 4-5 famiglie di Fittavoli (detti anche fittuari) che spesso vivevano in casolari isolati, per una media di circa 20 famiglie ogni 100 km². Il fittavolo o il proprietario della cascina usualmente non viveva nella fattoria. Nel caso in cui ciò avveniva, la sua abitazione era l’edificio più grande posto al centro della cascina. Il fattore rispondeva solo ed unicamente al fittavolo o al padrone, col quale aveva un rapporto di fiducia. I due si tenevano in contatto spesso. Il fattore riceveva il doppio del compenso rispetto ai suoi sottoposti.

Il contadino che in Cascina controllava l’esecuzione dei lavori su ordine del Fittavolo o del padrone era il fattore. Il fattore era  il responsabile dell’intera azienda agricola ed organizzava il lavoro degli altri agricoltori. Un tempo, quando la maggior parte dei contadini era salariato fisso, salariato avventizio o mezzadro (sotto contratto di mezzadria), il fattore faceva le veci del fittavolo o del padrone. Il fattore non sempre viveva in cascina, ciò accadeva normalmente nelle cascine più grandi.

I contadini che lavoravano in cascina svolgevano sostanzialmente lavori specifici. Normalmente vivevano in cascina i contadini che svolgevano una mansione essenziale per l’azienda agricola. Le figure principali residenti erano le seguenti:

  • Campari: addetti alla manutenzione delle roggie e dei canali d’irrigazione.
  • Bergamini: si occupavano del bestiame, in primo luogo della mungitura.
  • Casari: preparavano il formaggio.
  • Contadini: si occupavano di vari lavori, ma in primo luogo del taglio del fieno per il bestiame.
  • Bifolchi o Cavallanti: provvedevano all’aratura, erpicatura e dissodamento dei campi tramite l’ausilio d’animali da lavoro. Il loro nome cambiava a seconda degli animali che utilizzavano: i Bifolchi avevano una coppia di buoi, mentre i Cavallanti 1 o 2 cavalli. Essi si preoccupavano anche delle pariglie e della cura degli animali da lavoro a loro affidati.
  • Campagnoni: presenti in alcune cascine,  s’occupavano della gestione delle acque.

Oltre a queste categorie c’erano garzoni di vario genere: famiglimanzolaistallierifatuttomietitori ecc. Nelle cascine più grandi c’erano anche artigiani di vario genere (maniscalco, sellaio, falegname, muratore, fabbro ecc.). Tra i salariati stagionali vi erano: MietitoriTagliarisoMondine ecc.

I contratti agricoli in cascina

img008.jpgI Fittavoli, che erano veri e propri borghesi agrari, avevano un contratto di 9-12 anni. Durante tutto il periodo del contratto fungevano da “padroni” e i contadini che lavoravano e vivevano in cascina erano vincolati contrattualmente al fittavolo, senza alcun rapporto con il proprietario sovente residente in città.

I contratti agricoli dei contadini che vivevano e lavoravano in cascina erano: la masseria, il lavoro salariato pagato fisso o a giornata. Il primo era diffuso nell’Alta Pianura Asciutta, dove le cascine erano più piccole, mentre gli ultimi 2 erano diffusi nella Bassa Pianura Irrigua. I contratti di masseria tradizionale vedevano vincolate 4-5-6 famiglie coloniche che coltivavano i fondi in parte a mezzadria ed in parte a fitto. La parte di terreno coltivata a mezzadria fruttava al fittavolo o al proprietario circa 1/2 o 1/3 del raccolto. I salariati fissi risiedevano in cascina con un contratto  annuale che scadeva normalmente a S. Martino (11 novembre). In tal caso essi avevano diritto per contratto: al lavoro, all’alloggio, al vitto, all’orto ed al combustibile. Nel caso fossero Bergamini o Bifolchi-Cavallanti anche al porcile con 1 o 2 maiali. I salariati saltuari (detti anche braccianti, avventizi o giornalieri) invece risiedevano nei paesi, nei villaggi e nelle borgate limitrofe. In qualche raro caso vivevano in case sparse sui terreni appartenenti alla cascina. In tal caso pagavano un canone d’affitto.

A fronte di maggiori necessità di mano d’opera (ad esempio durante i raccolti), venivano temporaneamente assunti contadini salariati che risiedevano per breve tempo in cascina. Nel caso in cui i braccianti agricoli dovevano lavorare per un prolungato periodo di tempo veniva messo a loro disposizione un locale apposito della cascina dove alloggiare. Significativo in tal senso è il caso delle cascine dedite alla coltura del riso. Ogni anno venivano assunte, per un breve periodo, le mondine per la monda del riso in primavera.

La produzione agricola delle cascine

Le tenute agricole delle cascine sono caratterizzate dalla produzione cerealicola (grano, mais, riso, orzo) alternata a quella foraggera per consentire l’allevamento bovino. Fino al 1950 circa, le aziende aventi la Cascina come unità produttiva, avevano 1/3 o 1/4 dei terreni a marcita, e sul restante 2/3 o 3/4 alternavano rotazioni quinquennali o settennali tra cereali autunnali (grano, orzo, segale), cereali primaverili (riso, mais, avena, miglio e sorgo) e maggese. Molte cascine situate presso corsi d’acqua si dedicavano alla Pioppicoltura. La Pianura Padana è molto ricca di Pioppeti che costituiscono l’unico caso di arboricoltura in Italia. Un tempo, oltre alla pioppicoltura, era assai diffusa anche la coltivazione dell’olmo e del gelso: quest’ultimo veniva piantato per l’allevamento dei bachi da seta. Non mancavano robinie, platani, salici, ontani e querce.

Storia

I precursori storici della cascina a corte si trovano nella villa rustica romana e nella grangia cistercense medioevale. Al X secolo risalgono le prime strutture agricole che hanno portato alla cascina a corte. Le prime notizie di cascine (all’epoca dette “cassine“) risalgono al XIII secolo. La trasformazione delle antiche “cassine” alla struttura con le caratteristiche tipiche riscontrabili ai nostri giorni, avvenne nel  XVIII secolo. La diffusione massima delle cascine avvenne tra il 1700 ed il 1800 epoca a cui risalgono la maggior parte degli edifici attuali. A partire dal 1750 circa infatti, in concomitanza dell’organizzazione capitalistica dell’agricoltura, le cascine si diffusero tantissimo in quanto la struttura stessa della Cascina era perfetta per la razionalizzazione della produzione.

Oggi le cascine più antiche risalgono al 1400-1500-1600. È infatti alla fine del XV secolo che nasce la Cascina così come la conosciamo oggi. In questo secolo avviene la trasformazione dell’allevamento bovino-equino transumante a quello stanziale. Questa rivoluzione, avvenuta di pari passo con la diffusione delle marcite, ha fatto nascere la Cascina, una struttura sorta per far vivere assieme gli antichi allevatori, divenuti stanziali, ed i contadini che già vivevano accanto ai pascoli trasformati in marcite. Quando vennero espropriati terreni agricoli alla Chiesa, vari monasteri si trasformarono in cascine (in Provincia di Milano ci sono vari esempi di questo fenomeno: Mirasole,Monluè, Selvanesco ecc.).

A partire dal 1900 esse sono state progressivamente abbandonate sia per effetto dell’abbandono delle campagne che ha caratterizzato il Novecento, sia perché i contadini ritennero più confortevole e sicuro vivere nei centri abitanti, piuttosto che in mezzo alla campagna. Oggi, molte cascine sono state abbandonate o, a seguito dell’urbanizzazione, si son trasformate in parrocchie, scuole, edifici comunali, villette a schiera, ristoranti ed hotel. Tuttavia la loro presenza nelle campagne è ancora diffusa, anche se spesso le famiglie contadine preferiscono vivere nei centri abitati. Sovente, se sono di una certa dimensione, le cascine hanno uno spaccio che vende al dettaglio direttamente al consumatore i prodotti dell’azienda, sono i cosiddetti “farmers markets“. All’inizio del 2008 le cascine con uno spaccio erano 101 nelle sole province di Milano e Lodi. Sempre nello stesso periodo, nella sola Provincia di Milano le cascine con un distributore automatico self-service di latte crudo appena munto erano 43.

Attualmente molte cascine si stanno trasformando in agriturismi.

Notizie tratte da :Cesare Saibene, La casa rurale nella pianura padana e nella collina lombarda, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Ricerche sulle dimore rurali in Italia, Vol. 15, Leo S. Olschki – Editore, Firenze 1955