Scientology e Narconon

Suona invano il telefono a Ronago, provincia di Como, nella bella villa dove il 30 novembre 1986 operatori e ospiti hanno festeggiato il quinto compleanno della prima sede italiana di Narconon. Non risponde nessuno alla sede di Pallare, in Liguria, sigillate le sedi piemontesi si San Grado, Castelnuovo Bormida e Prazzo; chiusa la sede toscana di Castellina, il centro veneto di Conco, quello friulano di Ghirano. Inutile bussare al centro di Caserta o a quello di Castelmadama.
Nessuno può rispondere da quando, giovedì 5 novembre (1986), alle nove del mattino, le forze dell’ordine hanno fatto irruzione col mandato di perquisizione in mano e Narconon ha cessato l’attività. “Un sabotaggio, un vero e proprio sabotaggio”, tuona Giovanni Zanella, presidente della Lega civiltà libera dalla droga, da cui dipendono le dieci sedi italiane di Narconon.
“Uscire dalla droga si può”, proclamano i dépliant dell’associazione che ha riempito di speranza 3000 persone in cinque anni. Sede a Milano, un giro d’affari di quasi 3 miliardi l’anno, 200 operatori, 210 ospiti, a Narconon è ora tutto bloccato. “Un sabotaggio”, ripete Zanella, raccontando di tossicodipendenti in piena crisi d’astinenza buttati in mezzo alla strada, in ciabatte, senza una lira, con solo una coperta sulle spalle. “Se solo uno di questi muore, se solo uno incappa in un’overdose, ah: ci faremo sentire! E denunceremo per omicidio colposo i responsabili del blitz giudiziario. Il nostro metodo in cinque anni ha permesso di riabilitare almeno 1500 eroinomani”, calcola Zanella, “ma in questa caccia alle streghe cui stiamo assistendo i risultati sembrano non contare nulla. E’ un sabotaggio, una diffamazione”.
Vanno giù pesanti i responsabili di Narconon. Agitano il mandato che li accusa, tra l’altro, della morte di due ragazzi in cura (uno in una sauna, uno in circostanze misteriose nel centro di Castelnuovo Bormida), gridando alla persecuzione. Persecuzione? La storia di Narconon in Italia autorizza ben altre visioni. Ancora prima del blitz molti, infatti, erano stati i campanelli d’allarme. Ultimo il bollettino del gruppo Abele di Torino, da sempre in prima fila nell’aiuto agli emarginati, che proprio a Narconon aveva dedicato un dossier dal titolo significativo: “Narconon, un’illusione di cura a caro prezzo”.

Una “torto tra tante: quella di Pino S., eroinomane da quando aveva sedici anni. Pur di farlo disintossicare i genitori avevano sborsato un milione e mezzo (di Lire) per il trattamento del primo mese, e un milione per ogni mese successivo. Risultato? Pino è uscito ben presto dalla comunità e ancora oggi si buca. Storie del genere ne abbiamo raccolte parecchie. Continuiamo a ricevere telefonate, segnalazioni, denunce, testimonianze da far rizzare i capelli sulla testa”, spiega Vittorio Zambaldo, che con Mirta da Pra s’è occupato della stesura del dossier.
Ma ci sono voluti anni perché Narconon finisse sul banco degli imputati. La prima comunità nasce infatti il 30 novembre 1981 nel Comasco, a Ronago: importa in Italia il metodo elaborato nel 1966 da William Benitez, tossicodipendente, recluso nel penitenziario dell’Arizona per reati connessi alla droga. Leggendo I fondamenti del pensiero di Ron Hubbard, Benitez resta folgorato, si pente e, tornato in libertà, nel 1970, apre a Los Angeles il primo Narconon.
Sugli stessi principi si basano i Narconon italiani. La cura si articola in tre fasi: la prima, “superamento della crisi di astinenza“, si basa sulla somministrazione di un composto di Niacina (acido nicotinico), vitamina C, B6, B complex, pantotenato di sodio e carbonato di magnesio, amminoacidi essenziali e una preparazione di calcio e magnesio in base acida detto Cal.Mag. A questa cura si aggiunge un composto di vitamine A, D, E.
“Questi prodotti, presentati come molto costosi “centinaia di migliaia di lire ogni confezione), erano comuni vitamine del tutto inidonee allo scopo di disintossicazione”, ha testimoniato davanti al tribunale di Milano il professor Silvio Garattini, direttore dell’istituto Mario Negri. Rimbecca Zanella: “La Niacina serve per sciogliere ed eliminare le tossine”.
Come? Lo spiega la seconda fase della disintossicazione Narconon: la fase della “purificazione“, del movimento fisico, delle saune. A mezz’ora di corsa seguono quattro ore e mezzo di sauna ad alta temperatura. Segue la fase tre, quella dello studio, che si prefigge “di innalzare il livello di responsabilità attraverso lo studio dell’etica e della comunicazione”. Lo studio, naturalmente, è quello dei testi di Ron Hubbard.
Funziona il metodo Benitez? “Certo che funziona”, assicurano a una voce Luciano Canese e Riccardo Pignatelli, che con Narconon hanno visto disintossicare i loro figli, Fabio e Toni. Molto più scettici sono Giuseppe Mazzetta, presidente dell’Aga (Associazione Genitori Antidroga), e Rocco Caccavati, presidente del Cnot (Coordinamento Nazionale Operatori Tossicodipendenze), che in più occasioni hanno lanciato l’allarme sul “carattere speculativo” di Narconon, sulla carenza di assistenza medica, sull’insufficienza delle strutture igienico-sanitarie. Sicuramente, però, su un punto il metodo è imbattibile: nel procacciare nuovi clienti. Tanto che alla comunità di Ronago ne seguono altre: sorgono via via, quelle di Villanova d’Asti, di Castelmadama, di S. Caterina di Lusiana (Vicenza), di Rivoltella (Pavia), San Quirino (Pordenone), di Civitella di Romagna (Forlì), Allùsola Superiore (Savona), Masseranga di Portula (Vercelli), Frazzo (Cuneo)….
I centri nascono velocemente, come funghi; e altrettanto velocemente chiudono (su ingiunzione dell’Usi o del Comune o della Regione) e riaprono in altre città. Esemplare è la storia del centro Narconon di Civitella di Romagna, aperto il 23 luglio 1984, diretto, secondo un rapporto dei Carabinieri di Forlì, da una “pregiudicata per truffa, favoreggiamento, uso e detenzione di stupefacenti….. che fa tutt’ora uso di stupefacenti ed è dedita alla prostituzione”. Nel centro, secondo i carabinieri, i tossicodipendenti “non vengono seguiti clinicamente da alcun medico o persona qualificata”. Un’ispezione dell’Usi rileva “un grave sovraffollamento delle stanza destinate a dormitorio; i servizi igienici non funzionano”.

I pretesti per l’ordinanza di sgombero che piovono sui vari centri Narconon cambiano da paese a paese, ma la sostanza delle contestazioni è la stessa: mancanza di assistenza medica, di igiene e di sicurezza; nessuna garanzia sulla validità dei metodi di disintossicazione. “Non si può pretendere da un tossico che pulisca un pavimento come una casalinga”, ribatte Giovanni Zanella. Mancanza di strutture? “Per forza: ogni volta che chiedevamo i permessi per fare qualche lavoro, il Comune ce li negava”. Il morto nella sauna? “Non esiste”. Il morto a Castelnuovo Bormida, precipitato da una finestra durante una crisi di astinenza? “Storie. Camminava sulla riva della Bormida quando è scivolato e ha battuto la testa. Molti Sindaci ci hanno appoggiato, ci hanno affidato ragazzi da disintossicare”, aggiunge Zanella, “avevamo almeno venti ospiti a carico degli enti pubblici. Le dice niente? E ancora: molti ragazzi erano da noi agli arresti domiciliari. Forse i giudici che ce li hanno affidati erano dei pazzi? O il nostro metodo era buono davvero?”. Convincente, Zanella. Ma non si è lasciato convincere Roberto Sciacchitano, presidente della sezione tossicodipendenze del tribunale di Genova. Dopo aver condotto un’inchiesta a tappeto sulle comunità Narconon in Italia, il 2 ottobre 1985 il magistrato genovese ha inviato al ministero della Sanità un rapporto durissimo:”Le informazioni ricevute hanno evidenziato una situazione complessivamente preoccupante, in alcuni casi al limite della liceità”.

Tratto da L’Europeo del 20 dicembre 1986
 

La rivista ASPE (Agenzia di Stampa sui Problemi dell’Emarginazione), scritta da gente che lavora in questo settore, dice di aver effettuato una visita alla comunità di Castelnuovo Bormida e di aver verificato che dovrebbero esserci un centinaio di persone in comunità, 60 giovani tossicodipendenti (7 sono quelli inviati dalla Regione Aosta) ed una quarantina di operatori. Uno degli operatori della comunità di Castelnuovo Bormida, risponde che la capacità di accoglimento della comunità è solo una questione di spazio: “Se potessimo, riempiremmo quelle stanze di letti! Qui non mandiamo via nessuno. Quando siamo al completo sistemiamo dei materassi anche per terra e ci arrangiamo anche così!”
Un ragazzo che arriva in quella comunità viene guardato a vista giorno e notte da un operatore, finché non supera la crisi di astinenza, dopodiché inizia la seconda fase del programma che prevede la “purificazione” a base di vitamine e sauna, si tratta di 4 ore e mezza al giorno, precedute da una mezz’ora di ginnastica. Le saune sono due, 1 metro per 1 metro, in cui prosciugarsi al suono assordante di musica rock. Alla domanda: “Come va?”, questi ragazzi rispondono: “Bene, bene”. Ma i loro sguardi sono eloquenti: parole ridotte a monosillabi, facce stanche e depresse.

“Le stanze comprendono 7 od 8 posti letto stipati in ambienti tetri, arredati con l’essenziale ed anche meno, con i poster ingialliti sparsi sulle pareti che non riescono a personalizzare le stanze stesse. In ciascuna stanza c’è “la televisione”, come ricorda solerte la guida. “Al piano dei maschi, alle 3 del pomeriggio, incrociamo 5 ragazzi: 3 dormono o stanno male, non si fa in tempo a capire”.

Oltre a queste ore di ginnastica, il programma di purificazione promette di indicare la via della felicità e, in sostanza, questi ragazzi sono sottoposti ad ore ed ore di indottrinamento sulla “scienza dianetica” che è una specie di teosofia inventata da un certo Hubbard (a qualcuno sarà capitato di vedere in televisione una certa propaganda su questo tipo di corsi) il quale sostiene che il cervello umano ha dei poteri occulti che possono essere esternati e, applicando certi metodi educativi, l’uomo può raggiungere il controllo assoluto della mente e quindi vivere felice. Sennonché questo signor Hubbard, che è un ottimo autore di romanzi di fantascienza, come operatore sociale è stato denunciato per truffa in Italia, è stato condannato per truffa in Francia ed è segnalato dal Parlamento Europeo tra coloro di cui non bisogna fidarsi nelle attività di recupero sociale.

Questo tipo di operazione si svolge quasi come una “catena di S. Antonio”. Nella comunità di Castelnuovo Bormida, su 100 persone, 60 vanno lì per disintossicarsi ed una quarantina sono gli operatori. Ma questi ultimi sono ex tossico-dipendenti che, pagando fior di milioni (il corso di Hubbard costa una ventina di milioni), vengono poi remunerati secondo i nuovi tossicodipendenti che riescono a portare nella comunità. Forse si spiega in questo modo il fatto che i 7 tossico-dipendenti della Valle d’Aosta siano finiti a Castelnuovo Bormida: uno fa 3 mesi di disintossicazione, poi diventa operatore, spende un sacco di soldi e viene pagato in base ai successi che ottiene e cioè in base ai nuovi “pazienti” che porta. Ci sembra che questo meccanismo sia molto strano e pericoloso.

Tratto da – OGGETTO N. 2073/VIII – INTERVENTI DELLA REGIONE A FAVORE DI GIOVANI TOSSICODIPENDENTI. – (Interpellanza)
 
Per concludere vi furono alcune condanne di singoli operatori, ma dalle sentenze e’ difficile capire se tali operatori fossero Narconon o Scn, e a quale centro Narconon eventualmente si riferissero. Altri reati caddero in prescrizione, altri ancora furono riconosciuti ma non fu possibile imputarli a qualcuno di preciso; Ci furono anche delle assoluzioni. I dirigenti (Narconon e Scn) furono invece alla fine assolti dall’imputazione di associazione per delinquere, dopo un’assoluzione del tribunale, due condanne in appello (annullate dalla Cassazione) e infine la definitiva assoluzione in appello del 2000.
Sono comunque disponibli le sentenze al seguente indirizzo: http://xenu.com-it.net/milano/index.htm

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